Finalmente il 16 Settembre è sbarcato nelle sale Inside Out,
il nuovo film Pixar, ideato e diretto da Pete Docter.
Docter ci aveva già deliziato con Monsters & Co., ma
soprattutto con Up, che considero il mio film Pixar preferito, e neanche questa
volta delude le aspettative, con un film divertente che pone però lo spettatore
di fronte a serie riflessioni.
La Pixar esce da un periodo in cui, esclusi i sequel,
l'ultimo prodotto originale era stato Brave, non certo un film esente da
difetti, anzi, soffrendo forse in parte del ritorno della grande animazione
Disney, che poneva la situazione dei due studi in difficoltà nel delineare una
linea ed un'identità personale. Con questo film, però, troviamo un ritorno alle
origini, un rafforzamento di quelle idee e di quel modus operandi che aveva
reso la Pixar nello scorso decennio il faro da seguire per chi fosse
interessato alla migliore animazione occidentale, sia livello di contenuti che
di tecnica.
La storia è quella classica, che prevede di andare ad
addentrarsi in un minimondo (che nei film precedenti erano, giocattoli, poi insetti, mostri,
ecc.), ora rappresentato dalla mente umana, descrivendone i processi in modo
molto creativo ed originale, accompagnando lo spettatore nella crescita della
protagonista, una bambina di 11 anni di nome Riley, che deve affrontare un
cambiamento che mette in crisi l'intera famiglia: il trasloco.
Se l'approccio è
tipicamente pixariano, anche il tema non è originalissimo, per restare solo in
ambito Disney, si può ricordare il corto bellico Reason and Emotion, che però
si poneva obbiettivi ben diversi dalla pellicola del 2015.
Questo è un film sull'interiorità e sulle emozioni, quindi è
su queste che si posa con attenzione l'occhio dello spettatore. Gioia,
Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto. La loro resa è stupenda, ognuna dotata di
una caratterizzazione azzeccata, ma è soprattutto su Gioia e Tristezza che il
focus della pellicola si concentra. L'avventura per salvare la vita di Riley si rivela un viaggio nel passato ed un viaggio
nell'accettazione. Accettazione della crescita ed accettazione del dolore, come
spinta a superare le difficoltà che la vita pone innanzi. Accettazione che il
processo del cambiamento non può essere costellato solo dalla positività, ma da
tutto il parterre di emozioni, di cui si compone la sfaccettata esistenza
umana.
Il film può essere sintetizzato come un canto del
cambiamento, l'evoluzione, che avanza distruttrice se non la si accetta o si
cerca di atrofizzarla facendo rimanere tutto come un tempo. Bing Bong, l'amico
immaginario, è in questo l'emblema di un mondo che col tempo affievolisce
e scompare, sacrificandosi per un inevitabile mutazione.
Questo è inoltre un film della crisi. La crisi interiore,
che distrugge le basi di ciò che eravamo, per ergerne di nuove sfavillanti una
volta ritrovati se stessi. Coscienza del cambiamento, del rinnovamento delle
amicizie, degli scontri familiari, della fine dell'ingenuità, del buio dell'anima, la crisi emozionale e spirituale da cui uscire rinsaldati.
Le incomprensioni fra Gioia e Tristezza si esacerbano in una
concezione della personalità nebbiosa, ancora ancorata ad un passato infantile,
che si sta diradando. La personalità che ritorna dalla crisi e più sfaccettata
e pronta per affrontare l'ulteriore crisi che si profila, con un segnale di
pericolo di cui nessuna delle emozioni conosce il significato.
La componente umoristica è poi ben presente con le
interazioni fra le emozioni rese in modo brillante ed in generale la struttura da
"fabbrica" del microuniverso dà luogo a gag ben riuscite, per non
parlare di Bing Bong, che crea situazioni assolutamente esilaranti. Inoltre il confronto
fra le personalità diverse delle due protagoniste, di quello che in parte è un
buddy movie, fanno il resto.
A livello tecnico la qualità è esagerata. Si continua a
percorrere la strada del fotorealismo, ma sono, a mio parere, le figure delle
emozioni che godono di una realizzazione molto attenta. In particolare la resa
della loro "epidermide", scintillante e quasi immateriale colpisce
immediatamente. Inoltre tutte le ambientazioni e le interpretazioni delle varie
aree della mente, della memoria e della personalità si prestano a
rappresentazioni fantasiose ed ingegnose, come ad esempio la camera del
pensiero astratto, un concentrato di pura genialità. Pete Docter rinnova il suo
percorso personale nella stilizzazione geometrica delle figure, che diventa uno
dei mezzi per definire una caratterizzazione dei personaggi, tecnica della
quale le emozioni sono il frutto più evidente.
La componente musicale, come in ogni film Pixar non è
preponderante, ma Michael Giacchino in questo caso fa un ottimo lavoro nel
sottolineare le situazioni che si vengono a creare e ad accompagnare i
cambiamenti di rotta, mantenendo però sempre un tema portante che contribuisce
a dare unità alla pellicola.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad un film potente, un tripudio di
creatività e divertimento, che induce a pensare, ma soprattutto comunica il
proprio messaggio proprio attraverso quel percorso emotivo che viene così
attentamente studiato e rappresentato. La Pixar e Docter ci consegnano
un'esperienza piena e di qualità che li riconferma leader nella creazione di
storie che possano parlare all'animo delle persone e farle emozionare.
Extra: Lava
Il lungometraggio, oramai come da tradizione, è preceduto da
un cortometraggio, in questo caso Lava, diretto da James Ford Murphy, che
racconta con dolcezza una strana e struggente storia d'amore fra due vulcani
che si bramano, si cercano, fino a poi ricongiungersi, questo sulle note di Somewhere
over the rainbow, reinterpretato in salsa hawaiana con tanto di ukulele. Qui il
fotorealismo raggiunge alti livelli e si riesce in modo mirabile a rendere le
due formazioni vulcaniche, credibili contemporaneamente nel loro
antropomorfismo e nella loro naturalità.
Inoltre lascio in calce un paio di link di approfondimento molto interessanti che rimandano al blog My New Animated Life di Pietro Grandi:
- Alter Petrus
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