domenica 17 gennaio 2016

Il Piccolo Principe


Col Piccolo Principe Mark Osborne, dopo il meritato successo di Kung Fu Panda, si dimostra in grado di saper compiere una difficile impresa, ovvero quella di adattare un libro iconico e amato in modo da non scontentare i fan e vivere di luce propria.



Il Piccolo Principe non è il film del Piccolo Principe, è una pellicola che si basa sul romanzo per svolgere il suo percorso. Osa nel raccontare una storia propria che usa la mitologia del libro per imbastire un discorso che ha basi nelle parole e nel pensiero di Saint-Exupéry, ma si evolve in maniera originale, forse in questo scontentando i puristi dell'opera.



La scelta è quella di proporre come trama principale quella riguardante una bambina (il cui nome è ignoto, come quello di tutti i personaggi), che si trova avviluppata nelle spire del mondo degli adulti, fatto di pianificazione, efficienza e produttività. La chiave di volta sarà l'incontro col vecchio l'aviatore, che in gioventù aveva intersecato la sua vita con quella del Piccolo Principe e che la coinvolge nella narrazione delle avventure dell'abitante dell'asteroide B612.

La prima metà del film è così suddivisa con equilibrio fra le due linee narrative, con a marcare ciò la scelta della difformità dello stile di animazione. Per le vicende della bambina e dell'aviatore ci si è avvalsi della computer grafica, tecnica predominante nell'animazione commerciale di oggi, mentre per le scene che ripercorrono esplicitamente gli incontri del Piccolo Principe si è propeso per la stop motion con l'utilizzo di manichini e modelli.


La cgi, pur non avendo la possibilità di raggiungere i livelli qualitativi degli studi maggiori di Hollywood, è stata realizzata in modo da comunicare brillantemente il grigiume e la seriosità del mondo adulto, attraverso l'aspetto squadrato degli edifici e la colorazione smorta.


La stop motion di contro risulta essere il migliore espediente per rendere la poesia e magia del romanzo, miscelando un uso di modellini e figure di carta, che contribuiscono a rarefare il racconto nel racconto e a configurare il Piccolo Principe come un simbolo intergenerazionale di cui avere memoria e a cui ispirarsi.


Con intelligenza gli autori riescono a declinare i messaggi dell'opera relativi alla crescita e al rapporto con gli adulti in modo estremamente adatto al mondo moderno, trasformando la questione principale non nel rifuggire il mondo reale, ma nel tentare di non perdere mai gli occhi da bambino con cui osservarlo. Anche i sottotesti che solo un pubblico più maturo può ravvedere nell'originale, e che quindi potevano essere estromessi o banalizzati in una produzione mainstream, vengono messi in risalto, come il rapporto amoroso, che la vicenda della rosa rappresenta, e soprattutto il tema della morte, che ricorre sia nelle visioni del Piccolo Principe col serpente, sia nella cornice creata ad hoc.


Se molte qualità possono essere riscontrate nella prima metà, nella seconda il giudizio appare più contrastato. La svolta action che prendono le vicende è perfettamente inserita nella storia e anche preparata. Svolge un ruolo ben definito: allargare lo spettro dei problemi della bambina al mondo archetipico della favola. L'esternalizzazione del punto di vista si pone come primo gradino per il riconoscimento della realtà delle cose, per poi portare alla rottura e alla risoluzione, ma appare forzato se confrontato con il libro a cui si ispira il film e anche alle magiche scene in stop motion viste in precedenza. Il simbolo idealizzato a cui guardare si rivela anche lui corrotto dalle circostanze, trasformato in un essere molto meno carismatico di quanto visto e immaginato. Lasciando da parte l'ispirazione letteraria e guardando le basi della costruzione del racconto ciò è necessario per la presa di posizione identitaria della protagonista, anche se a dire il vero il tutto poteva essere gestito meglio. Anche l'introduzione di un supervillain (che nel libro è solo l'espressione di uno dei tanti modelli di vacua follia del mondo degli adulti) appare superflua, non sentendo il bisogno di personalizzare la società con cui ci si confronta e che si ripudia.


Nonostante queste piccole pecche (che poi da un certo punto di vista pecche non sono) l'opera si riprende decisamente sul finale, fondendo le componenti poetiche dei flashback con le avventure nel presente e regalandoci un adattamento che sa poco di adattamento, ma si pone come dimostrazione della continua modernità delle parole di Saint-Exupéry e del fatto che la libera immaginazione si porrà sempre in rotta contro le catene che tenteranno di frenarla e annichilirla, fino a romperne gli anelli, nell'espressione del proprio io e della propria visione della realtà, che passa attraverso, è bene non dimenticarlo, gli occhi del nostro fanciullino interiore.

-Alter Petrus

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