martedì 29 dicembre 2015

Retrovisioni: Song of the Sea (2014)


Song of the Sea (2014) è il secondo film diretto da Tomm Moore, regista irlandese, che, con con lo studio Cartoon Saloon, sta regalando delle vere perle all'animazione europea (ed in particolare irlandese).



Song of the Sea è una storia sulla metabolizzazione della perdita. Una storia di come la scomparsa di una persona cara possa lasciare un vuoto difficilmente colmabile. È una storia di due fratelli, ma anche di un marito e di una madre. È la storia di persone colpite dal dolore e che devono confrontarsi con esso, senza scorciatoie. Una storia sugli affetti e sulla famiglia.


L'incipit è da manuale, tanto riesce a catturare lo spettatore, il quale si immerge nello scenario mitico venato di poesia che durante tutta la pellicola funge da lente attraverso quale interpretare la vicenda che vivono i protagonisti. In questo Moore riprende sia il clima folkloristico che la tecnica di animazione che avevano costituito un fiore all'occhiello del precedente lungometraggio The Secret of Kells. Ma la tragedia si palesa subito, con un ritmo sincopato, che lasciando intendere, senza mostrare fino in fondo, spezza il calore familiare che si era creato.


Ciò che colpisce è il modo in cui le interazioni che si vengono a definire nei prodromi dell'evento funesto vengono tratteggiate, molto realistico e fine, presentando dei personaggi tridimensionali, che riescono ad essere definiti totalmente dalle loro azioni. Ben passa dall'attendere con fervore la nascita della sorella Saoirse a odiarla, considerandola la colpa della morte della madre. Un odio però di un bambino, che sa essere crudele, ma allo stesso tempo nasce in un animo che possiede un fondo di candida bontà e affetto. Saoirse al contrario cerca accettazione dal fratello, alimentando l'ostilità di cui si sente vittima.

Il cuore del film è però senza ombra di dubbio il rapporto dell'uomo con la sofferenza. La lotta fra l'annichilimento delle emozioni e lo stimolo ad esprimerle. Lo scontro fra l'apatia e il pianto liberatorio. La maestria dell'utilizzo della tecnica dello show don't tell regala una rappresentazione quantomai fedele le reazioni al lutto, tra cui la rabbia e finanche la depressione.


L'armonia familiare smarrita, in funzione di una sovrapprotezione da ciò che può far male, ma non spezzata, viene recuperata attraverso un viaggio che introduce la componente folkloristica e magica, la cui esposizione, però potrebbe sembrare poco chiara, per un pubblico poco avvezzo alla mitografia irlandese. Essa altro non è se non un espediente metanarrativo. Rivedere l'intera vicenda sotto un alone favolistico riesce a sottolineare i tratti salienti e a far confrontare i personaggi con gli eventi per come sono realmente, non falsati dalla loro partecipazione in essi. Ed e proprio grazie a questo approccio che si fa strada l'elemento risolutivo che porta il mondo reale a fondersi con quello magico e a rivelare una realtà in cui nessuno è realmente un cattivo stereotipato, ma solo un compagno di viaggio in una terra di dolore da cui si può uscire solo assieme e lasciando fluire le proprie emozioni. Così si può trovare il coraggio di salutare i momenti tragici e tornare a vivere.


L'abilità dei tipi di Cartoon Saloon di delineare dei caratteri solidi e credibili si riconferma, così come la loro capacità di sfruttare il medium per unire un'animazione flash (povero mezzo in mani inesperte) con la tradizione iconografica gaelica per riuscire a presentare suggestioni estremamente raffinate ed elaborate, in grado di enfatizzare i tratti distintivi delle pellicole e di dare una carta d'identità a tutta la loro produzione. I tempi del racconto sono perfettamente gestiti, l'attenzione ai personaggi è equilibrata, concedendo poco spazio, ma ben ritagliato, alle spalle esterne alla narrazione familiare, sui cui si basano le fondamenta del film. Riesce, inoltre, nel difficile compito di non centrare tutto sui protagonisti bambini, ma a dare un indulgente sguardo anche agli altri componenti del nucleo familiare, anch'essi sono al centro del dramma. Rispetto al precedente lungometraggio dello studio si può dire che si è deciso di introdursi in un argomento forse meno originale, ma con modalità di narrazione e di comunicazione più solide e stilisticamente innovative.

Per concludere, un'intervista di Tomm Moore, in occasione della nomina del film agli European Film Awards.

-Alter Petrus

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